Costanzi, da Firenze al Texas sognando football (pt.1)

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Il Texas, si sa, è da sempre terra di conquiste, tanto che anche prima che Cristoforo Colombo salpasse con le tre caravelle da Palos de la Frontera alla volta delle Indie, questa landa di confine racchiudeva al suo interno tre diverse culture (gli indiani dei pueblo a ovest, le tribù del Mississippi a est e la civiltà mesoamericana a sud), che furono messe a dura prova prima dagli spagnoli e poi dai messicani, con anche un lustro dove si registrò un tentativo di dominazione francese. Infine arrivarono i coloni americani, che qui si stabilirono richiamati da alcune politiche molto accondiscendenti praticate dall’Impero Messicano, salvo poi ribellarsi ai propri anfitrioni dando vita ad una guerra di indipendenza che portò prima alla formazione della Repubblica del Texas e, in seconda battuta, all’annessione agli Stati Uniti d’America. Prima però di diventare lo stato dei ranch sconfinati e degli avidi petrolieri, il Lone Star State ebbe anche il tempo di schierarsi dalla parte sbagliata nella Guerra di Secessione, andando così incontro ad un periodo di stagnazione economica.

Anche in ambito sportivo il 28° stato ad aver apposto la propria stella sulla bandiera statunitense è stato piuttosto incline ai venti di cambiamento che spiravano dall’estero, basti pensare ai 7 titoli NBA portati nello stato della stella solitaria (dagli anni ’90 ad oggi) da campioni come il tedescone di Würzburg, il sogno d’ebano proveniente dalla Nigeria e l’argentino, avvistato anche a Reggio Calabria e Bologna, che a 15 anni non era neanche nella top-ten dei giocatori under della sua natia Bahía Blanca. Diverso il discorso in chiave football americano, dove di giocatori che non hanno l’inglese come madrelingua ne sono passati davvero pochi. Fra questi però c’è un prodotto del settore giovanile degli Estra Guelfi Firenze come Andrea Costanzi, che sta trascorrendo l’anno accademico 2019/2020 alla Harlingen High School, dove è riuscito a lasciare il segno nel programma sportivo dei Cardinals. Ecco quindi la prima parte della lunga intervista che il safety/ricevitore ci ha concesso.

Sei riuscito ad avverare il sogno di giocare a football negli USA. Come ti senti nel ripensare a ciò che hai fatto?

“Mi sento una persona fortunata, perché non tutti hanno la possibilità di riuscirci e non parlo solo di doti tecniche ed atletiche.Penso anche di poter rappresentare un esempio positivo per tutti quelli che hanno il mio stesso desiderio. Durante questo periodo sento di essere cresciuto molto. Una esperienza del genere ti forma profondamente, non solo fisicamente vista la mole di lavoro alla quale vieni sottoposto, ma anche caratterialmente. Da un momento all’altro ti trovi catapultato a migliaia di chilometri di distanza dalla tua famiglia e dai tuoi amici, del tutto solo in un mondo nuovo e questo ti porta a dover reagire”.

Com’è andata la tua stagione con la maglia della Harlingen High School, con la quale hai anche segnato dei TDs?

“L’annata è andata bene. Per me è stata più diversa e più difficile rispetto al resto del gruppo visto che sono arrivato in Texas con un mese di ritardo rispetto alla tabella di marcia della squadra (Andrea Costanzi era impegnato nell’Europeo U19 con la nazionale italiana, ndr) e questo ha comportato che mi ritrovassi subito ad inseguire gli altri essendomi perso la fase di installazione del play-book ed altri passaggi fondamentali. Per me però la situazione che si era venuta a creare non è mai stata di vero svantaggio, visto che l’ho vissuta come un’opportunità per dare ancora di più ed impegnarmi ancor più seriamente in quello che stavo facendo. Ogni sabato, quando non avevamo palestra dopo la scuola, restavo sempre assieme al nostro QB e ad un altro paio di giocatori per fare qualche allenamento extra sul campo, volto a migliorare la mia sintonia con il resto del team. La stessa cosa si verificava anche quando avevamo le sessioni video, dopo le quali mi fermavo sul terreno di gioco o in palestra a fare qualche esercizio supplementare. Non dico tutto questo per vantarmi ma per far capire a chi legge che è il giocatore stesso a determinare la sua prestazione in partita, che può essere mediocre o di alto livello. Per farsi trovare pronti bisogna lavorare sodo, con il fine ultimo di poter dare un contributo ed aiutare i proprio compagni di squadra. Parlando più in generale del nostro campionato dico che le cose sono andate bene ed abbiamo perso solo un paio di partite, vincendo sia la division del nostro distretto che The Battle of Arroyo e The Bird Bowl, le partite più attese dell’anno nelle quali abbiamo ricevuto anche dei cappelli celebrativi in premio. Una volta giunti ai play-off siamo riusciti a vincere nel primo turno, perdendo poi il match successivo più per colpa di un nostro calo mentale che per un effettivo merito degli avversari. Peccato perché avevamo tutte le carte in regola per andare ancora più avanti. Sicuramente, rivedendole a qualche mese di distanza, posso dire che quelle sono state settimane straordinarie, piene di emozioni e che mi hanno fatto crescere tantissimo”.

Quali aspetti del tuo gioco senti di aver migliorato durante questo percorso texano?

“Sono cresciuto in maniera incredibile sotto l’aspetto del fisico, dove mi sono potenziato tantissimo grazie a tutti gli allenamenti in palestra ai quali siamo stati sottoposti. Nonostante un corpo più massiccio anche la velocità è aumentata. Un altro step in avanti, infine, l’ho compiuto dal punto di vista tecnico. In Texas ho imparato nuovi stili e nuovi approcci, che proverò a trasmettere ai giocatori delle giovanili degli Estra Guelfi Firenze quando tornerò in Italia”.

Quali sono le principali sfide che hai dovuto affrontare e stai ancora affrontando in questo anno scolastico?

“In ambito sportivo mi sono trovato immerso in una realtà completamente opposta alla nostra. Il livello dei giocatori è tutta un’altra storia, anche grazie al fatto che praticano questo sport sin da quando hanno 6/7 anni. Nessuno mi ha favorito perché ero il ragazzo nuovo che arrivava da un’altra nazione e tutto quello che ho conquistato me lo sono preso dando il massimo sul campo. Inoltre, durante tutto l’anno, ho sfidato continuamente me stesso a raggiungere obiettivi piuttosto ambiziosi sia in ambito sportivo che in ambito scolastico, un fatto che mi è servito per tirare fuori il meglio. Per quanto riguarda la parte accademica la maggior sfida è stata quella di dover affrontare un intero programma in inglese, anche se gli argomenti proposti li ho trovati un po’ più facili rispetto a quelli dei nostri licei. Ovviamente fuori dalla high school ho dovuto costruire un tessuto di legami da zero, stringendo nuove amicizie e conoscendo nuove persone. La cosa che più mi ha fatto maturare però è quella riconducibile al processo decisionale, con la famiglia a più di un oceano di distanza, non ho potuto contare su di loro per le decisioni che ho dovuto prendere e questo è stata l’aspetto più significativo di tutta l’esperienza”.

Ti va di condividere con noi un ricordo di football e uno di vita di questo periodo?

Certo che mi va! La prima fotografia che mi torna in mente per quanto concerne il football è l’istante in cui ho messo piede sul terreno di gioco dello stadio per il Bird Bowl, la partita più sentita di tutte, una sorta di derby. Sugli spalti c’erano già più di 9.000 spettatori e io ne sono rimasto folgorato, pensavo di sognare ancora come quando mi immaginavo questo tipo di momenti da bambino. Una delle emozioni più belle che il football mi abbia regalato! Per quanto riguarda un ricordo relativo alla mia vita nel Lone Star State scelgo un momento “on the road”, eravamo in viaggio per giocare in trasferta e con il nostro pullman abbiamo attraversato un campo di mais pieno di lavoratori, che hanno alzato la testa quasi all’unisono per osservarci, facendomi rimanere quasi ipnotizzato dai loro volti e dalla fatica che si dipingeva su di essi, tanto che il compagno di squadra che stava seduto accanto a me chiese cosa stessi guardando così intensamente, al che gli dissi che ero rimasto un po’ scioccato dalla scena e lui mi confessò che suo padre faceva lo stesso lavoro di quelle persone e che lo avrebbe dovuto seguire nel caso in cui non fosse riuscito a ottenere una borsa di studio per il college”.

Ufficio Stampa Guelfi Firenze

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